Per favore, un Nobel alla user experience per il progettista che ha realizzato il pulsante con il default animato semiautomatico.
Una cosa che faccio spesso è mandare messaggi da Apple Watch. Spesso vuol dire che una manovrabilità limitata dell’interfaccia. Detto il messaggio a Siri e poi mi appare il riepilogo del messaggio, con il default sul pulsante Invia. Il pulsante è bianco e inizia a colorarsi di blu da sinistra a destra, a spiegare che in pochi istanti si avvierà da solo.
In informatica, ritornare dopo un anno è già tradizione. In base a questo principio,
Fesrivitas è ufficialmente un classico.
Dopo il suo
debutto dello scorso anno, infatti, [il programma ritorna con migliorie per la versione Mac e soprattutto la prima versione in assoluto per iOS e iPadOS.
Anche queste ultime costano quattro euro, come il prezzo minimo su Mac. Un acquirente generoso potrebbe sostenere lo sviluppatore pagando di più, a piacere.
Gli effetti sono altamente configurabili e tutti carini, comunque proponibili. Rispetto a tanti altri hack sul genere, questo è collaudato (seconda edizione mica per niente), ben realizzato, gradevole e divertente, con tocchi di classe come le luminarie attorno al Dock o – sempre comunque configurabile – il sollevamento automatico delle luci quando serve proprio quell’area dello schermo.
Avanti nel mio esperimento di guardare il
basket NBA su Prime Video, boh, mah, so-so, così così.
Correggo una prima osservazione: è possibile avere il commento originale e questo è un punto a favore.
Fruito su iPad, se non si sta a schermo pieno (per esempio, iPad in mano in verticale e finestra video che chiaramente copre solo una fascia orizzontale) appaiono alcune schede con dati statistici e aggiornamenti. Un tocco gradevole, però onestamente se voglio vedere la partita guardo la partita. È vero, posso dare un’occhiata a quanti assist ha distribuito Tizio che sta facendo il record personale. Però mi perdo la partita. Il ritmo non è quello del football dove c’è una pausa ogni pochi secondi.
È successo in realtà qualche giorno fa e il tempo corre troppo velocemente.
FreeCiv ha compiuto trent’anni.
Festeggio con una partitina pomeridiana, dato che su Mac e, in particolare su Apple Silicon con Tahoe 26.1, le cose funzionano alla grande.
Non è sempre stato così ed è una bella notizia, invecchiando il software migliora.
Mi è servito un passaggio con
Homebrew prima di lanciare il programma, che – dopo l’installazione – parte con il comando freeciv-gtk3.22. Non è una novità; in passato, però, mi è capitato che servissero magheggi per arrivarci. Non ora, è tutto lineare.
Se fossimo enigmisti, ci sarebbe a questo punto un gioco di qualche tipo per arrivare dal titolo al significato perdite di memoria, cioè
memory leak.
Il mio Mac resta sempre acceso, le app facilmente restano sempre aperte; in questo scenario è facile che, se nella configurazione del sistema in quel momento qualcosa va storto, la memoria venga invasa in modo anomalo, Mac termini la memoria applicativa e tocchi uscire forzatamente da tutti i programmi o quasi, o altrimenti riavviare.
Buoni motivi per nutrire fiducia nel genere umano nonostante tutto: persino Microsoft può dare un contributo alla causa del software libero e alla conservazione di software di grande rilevanza storica e culturale.
Si deve infatti proprio a Microsoft, con la collaborazione di Activision, se
la trilogia di Zork è diventata open source: le tre avventure testuali forse più iconiche di sempre ora si trovano in un repository GitHub, accessibili, studiabili, modificabili, giocabili, curiosabili da chiunque, senza vincoli.
Michael Tsai è triste perché
Apple non permette di capire che cosa è cambiato da una versione a una successiva di Xcode:
Vengono combinate assieme le modifiche di più versioni; Apple inoltre cancella e rinomina le pagine vecchie e così impedisce di confrontarle a meno che non se ne salvino delle copie.
Però è anche felice, perché un suo commentatore ha aperto un repository Git in cui salva le pagine come documenti Markdown man mano che vengono pubblicate e, così facendo, semplifica molto le cose a chi abbia questa esigenza.
Sarò nostalgico, confonderò la luna e il dito, trascurerò la foresta a causa di un albero.
Tutto può essere. Se però vedo uscire un
aggiornamento di BBEdit che contiene ventuno migliorie, compresa una dedicata all’icona dell’applicazione, in modo che funzioni in modo esteticamente corretto sotto Tahoe, capisco perché è il mio editor e perché lo è da trent’anni.
Si è imparato nel tempo che saper produrre programmi efficaci e saper stare alle regole della piattaforma, buone o cattive, non sono cose che per forza vanno insieme, non sono ovvie e non neanche tanto frequenti. Distinguere i programmi da come va la loro icona in Tahoe non è così sbagliato.
Dopotutto, quale genitore non
costruirebbe un sintetizzatore per la propria figlia?
La cosa più interessante è la chiosa a partire da un kit Arduino vecchio di quindici anni e solamente con una idea vaga di come fare.
Come sempre, la chiave è la multidisciplinarietà: qualcosa di software, qualcosa di hardware, qualcosa di elettronica, qualcosa di stampa 3D. Nessuna specializzazione, qualcosa di tutto e la capacità di portare competenze sparse in uno spazio comune.
Necessità occasionale di creare codici QR a costo zero: uguale a pellegrinaggi per siti di dubbia funzionalità o che fanno i preziosi, con codici a tempo, in numero limitato, da rinnovare a scadenza con abbonamento, mentre intanto fioccano intorno i pop-up di iscrizione a newsletter, annunci pubblicitari raschiati dal fondo del barile, di tutto, di pìù.
Non più. Ero ignorante e lo ammetto. Poi ho letto per curiosità un post di John D. Cook su come
l’uso di caratteri maiuscoli o minuscoli cambia le dimensioni di un codice QR generato via Python.