Commenti a profusione sulla notizia che gli scienziati cambiano i nomi ai geni per non farseli convertire a tradimento da Excel.
Zero commentatori a soffermarsi sul fatto che la notizia si basa su uno studio del 2016, di cui si parlò
persino qui, dunque in abbondanza. Siamo tutti assuefatti al sovraccarico informativo e si vede. Forse dovremmo diffondere un link in meno, rileggere prima di commentare, guardare una pagina concentrati oppure saltarla, se l’esito finale è identico.
Nello scrivere dell’
ascesa di Phil Schiller al ruolo di Apple Fellow ho fatto un elenco di alcuni dei personaggi che hanno ottenuto il riconoscimento, limitandomi ai più comuni.
Ho appena scoperto di avere dimenticato un nome primario:
Bill Atkinson divenne il terzo Apple Fellow, dopo Steve Wozniak e Rod Holt, insieme a Rich Page, per il suo lavoro su Lisa.
Il dettaglio interessante nel post di Pixel Envy, che riprende un ricchissimo
aneddoto di Andy Hertzfeld, è che la carica di Apple Fellow attesta un merito tecnico.
Il compimento della carriera di Phil Schiller in Apple è molto diverso da quello, per dire, di Jonathan Ive, che a un certo punto si sentiva gli abiti troppo stretti e voleva più libertà di azione.
Schiller, invece di essere stato un manifesto ideologico di Apple, ne è stato un’anima, dietro le quinte così come sul palco. Infatti non si congeda con rapporti un po’ fumosi di collaborazione che sembrano più di forma che altro; non si congeda proprio.
Diventa un Apple Fellow.
Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo,
proibisce l’uso di PowerPoint nella sua azienda, una delle più grandi, organizzate ed efficienti del mondo.
Vietare PowerPoint ovunque, sempre, sarebbe stupido. Dovrebbe però essere stupido anche imporlo ovunque e sempre.
Sempre Jeff Bezos verrà ricordato per
come ha impostato la comunicazione tra i reparti di Amazon.
Brevemente: ogni reparto sceglie come può essere contattato. A questo punto dovrà essere contattato solo ed esclusivamente attraverso il metodo o i metodi descritti. Niente corsie preferenziali o sistemi alternativi. Il metodo o i metodi scelti devono funzionare allo stesso modo con il mondo esterno.
Il post sulla
necessità dell’indipendenza per sopravvivere al virus ha generato un certo dibattito, di cui ringrazio di cuore tutti perché le occasioni di imparare in modo sensato sono rare e le persone di spessore pure. Sono fortunato, molto fortunato ad averne tante che passano di qua.
Devo precisare meglio il discorso dell’indipendenza dall’hardware. Non entro nel mondo dei codici Ateco e do per scontato che vi siano milioni di mestieri soggetti a forti vincoli pratici. Però bisogna tendere all’indipendenza e mai pensare da subito che qualcosa sia impossibile. Potrebbe non solo essere possibile, ma persino essere desiderabile e, semplicemente, mai stato considerato prima. Con la tecnologia le cose sono impossibili solo dopo averci provato.
Agosto è tradizionalmente slow news cycle: se vivi di notizie, devi faticare più del solito. Per questo mi hanno fatto divertire quelli di Macworld, con il surreale titolo
Apple si scrolla di dosso il Covid-19 con un trimestre record alimentato dalla vendita di praticamente qualunque cosa. Però li capisco, da qualche parte un po’ di sensazione bisogna cercare di crearla.
Capisco meno il Corriere, che a febbraio titolava
Coronavirus, perché Apple e le altre Big Tech temono il virus cinese. Surreale anche lui, purtroppo da tutt’altra visuale. Considerato che il virus sta creando problemi a tutti tranne che alle Big Tech, non è un capolavoro di analisi.
Ebbene sì, ero proprietario di una azione Apple. Questo ha notoriamente accecato le mie capacità di giudizio e mi ha reso un fanatico che chiaramente scriveva cose insostenibili in difesa delle proprie ricchezze, in particolare quei trenta o quaranta centesimi che arrivano come dividendo ogni tre mesi.
Ero proprietario perché Apple ha annunciato uno split azionario e, invece di detenere una azione Apple da quattrocento dollari, ne avrò quattro da cento. Sempre chiaramente, questo è destinato ad aggravare la mia posizione di fanatico.
I risultati trimestrali di Apple
hanno ridicolizzato le previsioni degli analisti per quanto sono buoni e trasmettono una lezione importante per il prossimo periodo che ci aspetta. Perché la ricaduta pandemica sul lavoro abbiamo appena iniziato a vederla e, se Apple ha incassato cinquantanove miliardi invece dei cinquantadue che ci si aspettava, per un sacco di attività piccole e grandi non andrà per niente bene.
Comprare un iPad non risolverà un licenziamento o un crollo di fatturato. Però, come dicevo, questi risultati portano una lezione importante che inoltro come consiglio: indipendenza.
Amazon, Apple, Facebook e Google sono finite davanti alla commissione antitrust del Congresso statunitense per rendere conto di questa e quella condotta più o meno sospetta e, nel caso di Apple, inevitabilmente si è aperto il discorso anche su App Store e le sue politiche di amministrazione.
Il tema antitrust è molto ampio e magari capita una prossima volta di sviscerarlo (indizio: non si parla di leggi ma di efficienze su scala globale). Qui sto solo su App Store.
Ogni tanto ci si chiede perché l’Italia faccia tutta questa fatica a diventare un Paese dove i servizi per il cittadino sono al servizio del cittadino.
La risposta è che per milioni di persone questa prospettiva è rovinosa come un’invasione di extraterrestri ostili e vogliosi di ridurli in schiavitù. Per loro l’idea di servizi che funzionano significa lavorare, acquisire nuove conoscenze, assumersi responsabilità, pensare al cliente invece che al proprio interesse.