L’ho già scritto, è un autunno di viaggi di lavoro e con il nuovo iPad Pro avevo bisogno, anche urgente, di connettori video Vga e Hdmi.
Continua a sfuggirmi il motivo per cui organizzazioni di ogni genere si rifiutino di collegare i videoproiettori e le Lim a un qualunque succedaneo di Apple TV: arrivi in aula, entri nel Wi-Fi, sei collegato. Invece no, ci vuole il cavo, e l’adattatore, e le canaline, e le multiprese, e se devono attaccarsi due macchine parte un balletto, staccalo di qui, attaccalo di là eccetera.
Bel pezzo del New York Magazine sul rallentamento globale delle vendite di smartphone, pardon, computer da tasca.
Il mercato mondiale è saturo perché il tasso di crescita è praticamente zero, cioè si vendono tante unità quanto nell’anno precedente, o magari anche meno. E la frequenza di sostituzione è passata da venti a ventiquattro mesi.
Dati interessanti, peccato i soliti toni da catastrofe ambientale inevitabile per quanto riguarda Apple. Che è in una situazione diversa dai concorrenti, ma non può sfidare la gravità indefinitamente, riferito al vendere apparecchi dal prezzo superiore a quello medio.
Da alcune settimane sto girando per aeroporti di mezza Europa e non lo sapevo, ma ho acquisito una dipendenza da Wi-Fi.
Da mesi non prendevo un Frecciarossa e ho nuovamente metabolizzato che il suo Wi-Fi non funziona. Neanche su un treno deserto che approda a Milano a mezzanotte (in ritardo).
La differenza con il passato è che prendevo spesso il Frecciarossa quando non c’era ancora LTE. Adesso ho dimenticato quel Wi-Fi inutile e in un istante la connessione è schizzata a piena velocità.
Trecentotrenta degli ultimi tremiladuecentoventuno tweet di Samsung Mobile sono stati eseguiti da un iPhone.
Might as well add "Twitter police" to my bio at this point 🤦♂️ pic.twitter.com/DRlrXl7bak
— Marques Brownlee (@MKBHD) December 2, 2018 Forse avevano bisogno di farsi pubblicità, oppure di un apparecchio più efficiente, chissà.
Su tutto, il commento di John Gruber:
Quando accadono questi inconvenienti vedo talvolta gente chiedersi perché questi tweet siano inviati da un telefono e non da un computer desktop.
Caro Babbo Natale,
è stato un anno sull’ottovolante, con una (nuova) figlia che ha dato i punti al papà in fatto di non dormire per periodi indefiniti, più un Mac nuovo e un iPad nuovo, per limitarsi al tema.
Al centro di tutto, nel tema e fuori tema, si è ruotato molto attorno allo hardware.
Quindi non ti offenderai se per l’anno che arriva ti chiedo di portarmi tanto software. Tutto quello che gira su un iPad Pro nuovo fiammante e che forse neanche ho in mente, avendo saltato diverse versioni di sistema operativo.
Ho visitato Codemotion Milano 2018 e sono rimasto anche quest’anno favorevolmente impressionato dall’atmosfera del luogo. Si parla di programmazione e design applicativo, anche in modo pesante, ma si vedono persone motivate, allegre, entusiaste e lontane dallo stereotipo del nerd asociale e avulso dalla realtà.
C’erano tanti Mac e ne ho fotografati alcuni in contesti particolari. L’obiettivo era fotografare Mac e farlo in fretta senza disturbare; la resa delle immagini è pessima e me ne scuso, anche se l’illuminazione certo non aiutava.
Mi spiace di andare per spizzichi e bocconi, con una prima e una seconda parte prima di questo post. Avrei scritto volentieri un megapezzo stile John Gruber solo che lui è più organizzato e così per metà mi sono rimaste sulla tastiera cose che volevo dire e altre le ho scoperte cammin facendo. Le pubblico in ordine sparso.
Sono passato dalla tastiera virtuale di iPad vecchio stile a quella full size di iPad Pro, che possiede tutti i tasti della tastiera convenzionale.
Dicevo ieri che Face ID di fatto elimina o quasi il fastidio di avere il codice di sblocco. E da questo punto di vista, proprio è diverso guardare per un attimo lo schermo che dover poggiare il dito per l’impronta.
Face ID viene in aiuto anche per l’attenzione inversa, come l’ho chiamata: iPad Pro fa attenzione a quando gli facciamo attenzione. Una delle cose che mi hanno disorientato un attimo all’inizio è stata la mancanza dell’impostazione del tempo di funzionamento prima di andare in stop (per me i quindici minuti erano ottimali).
Quando la tecnologia ti pone davanti a un dilemma futile quanto insuperabile.
Ho sempre preferito i grandi schermi, perché sono più produttivi. Il mio ultimo portatile è stato un diciassette pollici.
Contemporaneamente ho apprezzato iPad per la possibilità di lavorare tenendolo in mano e, all’occorrenza, digitare con i due pollici e la tastiera spezzata in due tronconi scorrevoli sui lati dello schermo.
L’iPad corrente, in terza generazione del 2012, è una macchina formidabile e per due settimane è stata l’unica macchina a disposizione.
Ero rimasto indietro di oltre un giro, lavorando negli ultimi anni con El Capitan, alias macOS 10.11. Ho avuto durante l’estate un brevissimo flirt con High Sierra e ora, con l’arrivo di Mac mini, mi sono ritrovato macOS Mojave, 10.14.
Confesso che, durante il breve periodo di High Sierra, sapevo di avere davanti una nuova versione di sistema operativo ma non avrei saputo indicare a bruciapelo che cosa ci fosse di veramente diverso e con Mojave la sensazione è identica, anche se ho dato un’occhiata alla Modalità scura, il Dark Mode, e certo non avrei potuto farlo con altre versioni.