Trovo strano non avere mai segnalato l’esistenza di ditaa. Forse mi frega la scarsa connessione, forse la scarsa memoria, forse la scarsa capacità di ricerca.
Rimane comunque troppo prezioso ed è meglio parlarne due volte che trascurarlo.
ditaa trasforma in diagrammi grafici di qualità gli stessi diagrammi costruiti nell’antica ASCII art, un carattere dopo l’altro.
Non bisogna farlo alla lettera; sotto ditaa c’è una sintassi per farlo come programma. John D. Cook racconta in un posto come lui
realizza grafici via ditaa con emacs in org mode. Con l’aiuto di Emacs Lisp, per giunta, che vale un bonus. org mode, racconta Cook, può chiamare da subito una quarantina di linguaggi diversi e uno di questi è proprio ditaa.
Ormai è più difficile non emulare un Mac dentro il browser che farlo.
C’è una emulatore persino su Archive.org.
Mi mancava qualcosa per Lisa e sembra
essere arrivato.
Scritto in JavaScript, è un filino più invasivo di altre procedure (vuole una installazione di un RAM disk nella memoria del browser). È comunque poca cosa rispetto al gusto di rivedere in funzione una macchina leggendaria.
Non è ancora perfetto. Del resto non lo era neanche Lisa originale. E costava diecimila dollari più di questa soluzione.
C’è bisogno di un player di musica offline per macOS diverso da iTunes?
Non saprei; l’unica è provare a dare una chance a
Petrichor, che promette un sacco di cose, è open source, è realizzato interamente con Swift e SwiftUI, tutto sommato aiuta la causa di chi ama molto i sistemi operativi di Apple ma sulle app ama guardarsi intorno (che è il mio caso nella maggioranza delle situazioni).
Petrichor, dice l’autore, è in stato di alphabeta, quindi attenzione. In compenso, sempre l’autore ha creato un cask apposta per chi vuole provare l’installazione via Homebrew, così semplificando molto. L’edizione finale di Petrichor si installerà da Homebrew direttamente, però l’assetto attuale è già qualcosa.
Non sono d’accordo, piuttosto farei dei distinguo. Tuttavia trovo interessante l’iniziativa della
lettera aperta degli insegnanti che si oppongono all’adozione di intelligenza generativa nell’istruzione.
Per ora è poca cosa: trecento firme di cui oltre l’ottanta percento verificate.
La lettera definisce la GenAI nella sua forma attuale come corrosiva per la capacità di azione di studenti, educatori e professionisti.
Inoltre stabilisce una linea operativa in otto punti, tra i quali non usare l’assistenza generativa nel progetto dei corsi di studio, evitare che gli studenti la usino in sostituzione del loro sforzo intellettuale e di crescita, respingere le avance di venditori esterni al mondo della scuola, inserire la GenAI nei piani di studio in modo fine a sé stesso per mostrarne la presenza in quanto tale.
Perfino da Facebook, una volta ogni mille anni, può arrivare qualcosa di buono.
Un professore della Sapienza di Roma ha scritto un post delizioso sulle sette personalità che si incontrano di continuo non appena inizia un dibattito sull’intelligenza artificiale o ciò che ora chiamano così.
Mi sono divertito e – totalmente esclusi i presenti – ho riconosciuto in pieno alcune delle personalità. Si capiscono meglio gli LLM se si capiscono meglio le menti che girano attorno al business.
Simpatizzo di cuore con il racconto biografico di Steven Hackett di 512 Pixels in occasione dei suoi
dieci anni di attività.
Nel cercare la propria indipendenza, Hackett ha preso decisioni coraggiose, anche a livello familiare, si è dato da fare quando i conti non tornavano, ha tenuto la barra con passione e tenacia ed è riuscito a raggiungere i propri obiettivi.
Ogni tanto qualche bello spirito annuncia la morte dei blog, perché i social, perché Google vuole tenersi i soldi del SEO, perché l’intelligenza artificiale; è sempre un’occasione buona per annunciare la morte dei blog.
La vulgata vuole che Apple sia più indietro degli altri sui grandi modelli linguistici e sulla loro strategia di utilizzo, con relativa responsabilità dei vertici, su per la catena di comando fino ad arrivare direttamente a Tim Cook.
La direzione di Apple ha sicuramente sbagliato nell’annunciare funzioni di Apple Intelligence in tempo per versioni di sistema operativo che invece non le contenevano. Questo è stato un errore grave e pure insolito per Apple, che da anni ha abituato a sentire parlare di prodotti e di date di uscita, più o meno sempre rispettate, con un paio di eccezioni e non altro.
Qui siamo piccoli e tranquilli; eppure ci sono tanti siti o blog di dimensioni appena più grandi, per i quali proteggersi dal traffico ostile in ingresso di bot e crawler di ogni genere, da quelli della supposta intelligenza artificiale in avanti, costituisce una necessità o una linea di principio.
In questo senso,
Anubis potrebbe portare un bel sollievo.
Si tratta in pratica di un firewall che soppesa il rischio delle richieste di accesso al sito e, se reputa che il gioco non valga la candela, sottopone la richiesta in arrivo a prove da superare per dimostrarsi di provenienza umana, o almeno innocua.
Sistemi meno massimi di quelli degli ultimi giorni:
come leggere una tabella su Wikipedia.
Esegue Dr. Drang con Python e
Pandas.
La curiosità: i dati riguardano la lunghezza in partite delle finalissime NBA.
Finora trenta finali sono terminate in sei partite; sia le cinque partite sia le sette si sono verificate in venti finali a testa.
Il quattro a zero è accaduto nove volte.
L’anno prossimo ci si aspetta tutti uno sweep (noi diremmo il cappotto) per fare cifra tonda su tutto.
Ultimo giro di
Osservazioni randagie di seconda categoria, dedicato all’evoluzione tecnologica generale di Apple.
C’è o percepisco un consenso di base sulla mancanza di novità hardware di Apple dalla scomparsa di Steve Jobs in avanti. In special modo, non è apparso niente di particolarmente rivoluzionario. Con tutto il corollario di innovazione terminata, zero progresso, zero invenzioni, inaridimento delle fonti.
Jobs è mancato poco dopo la presentazione di iPad e immediatamente prima di quella di Apple Watch, su cui probabilmente avrà messo mano. Qui è difficile dire perché mancano resoconti diretti e affidabili che invece abbondano in altri periodi. È anche possibile che ci sia stato un pudore aggiuntivo nel raccontare vicende segnate dal declino finale di Jobs, o che per la stessa ragione ci siano stati maggiori controlli nel tentativo di isolarlo da curiosità troppo morbose.