Un momento di pausa tra un’osservazione randagia e un’altra: si critichi pure tutto, ma lasciatemi Apple Watch che, mentre sono in acqua, mi propone autonomamente di registrare un workout di nuoto.
Niente di miracoloso: solo una conoscenza minuziosa e vasta, perché accumulata e affinata nel tempo, di come si muove il polso e come varia la frequenza cardiaca (forse anche l’ossigenazione?) durante un bagno in mare, il tutto acquisito da accelerometro e sensori vari.
Riccardo ha ovviamente ragionissima nell’affermare nelle sue
More stray Observations — on Liquid Glass, on Apple’s lack of direction, then zooming out, on technological progress che con Steve Jobs è morto qualcosa di importante. Sono passati quattordici anni e, per me, è continuamente ieri.
Sono comunque passati quattordici anni e,
spiegavo ieri o almeno provavo a farlo, sono abbastanza da indurci a cambiare le nostre metodologie di valutazione. Se fossero stati quattordici anni dal millenovecentoottantaquattro al millenovecentonovantotto, saremmo passati dalla presentazione storica del primo computer capace di salutare il pubblico a voce al salvataggio quasi in extremis di un’azienda con un grande prodotto e un management incapace di governare persino il catalogo dei Mac in vendita. Usare lo stesso metro per giudicare lo Steve Jobs ventinovenne con il farfallino e il bollito
Mike Diesel Spindler sarebbe palesemente sterile.
Lette le
More stray Observations — on Liquid Glass, on Apple’s lack of direction, then zooming out, on technological progress, intanto confermo che Riccardo resta, oltre che un amico, una delle mie penne preferite. Al mercatino dell’usato ho comprato con immensa soddisfazione per due euro una raccolta per me inedita di racconti di Arthur C. Clarke,
The Wind from the Sun (in italiano Vento solare), e Riccardo ha molto dello stile di Clarke, nel ritmo, nel periodare, nell’inquadrare i soggetti.
Un titolo alternativo più pedestre potrebbe essere come funziona il mondo di oggi e quali lezioni possiamo apprendere per trovare opportunità.
Parker Higgins viene dieci anni fa a conoscenza del fatto che il governo americano detiene una splendida collezione di acquarelli di frutti e oggetti di natura creati tra il milleottocentoottantasei e il millenovecentoquarantadue, per oltre settemila esemplari. È la
Pomological Watercolors Collection. (La maggioranza relativa delle immagini è di mele, come suggerisce il titolo della raccolta e, per gli intenti di questo blog, il valore della notizia aumenta).
Riporto eccezionalmente l’intervento di oggi di Mattia Feltri su
La Stampa, come lo ricevo da
Anteprima. Niente commenti, non servono.
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Una decina di giorni fa avevo accennato qui alla piccola e ammirevole Estonia, solitaria coi suoi smartphone a scuola, mentre il resto d’Europa, Italia in testa, si avvia a proibirli.
Ora la ministra dell’Istruzione estone, Kristina Kallas, ha annunciato che a settembre ogni studente avrà un account per accedere all’intelligenza artificiale. I ragazzi dovranno usarla per svolgere alcuni compiti, affinché imparino a conoscerla, a maneggiarla, a individuarne le potenzialità e i limiti, anche a correggerla.
Si sapeva che dovevano essercene quattro: finalmente
la quarta versione della Rom di Macintosh Plus è stata recuperata.
È l’unica da duecentocinquantasei chilobyte, mentre le tre precedenti sono da centoventotto, e lo spazio aggiuntivo serve a contenere set di caratteri giapponesi Kanji, usati dalla tecnologia KanjiTalk.
A noi significava poco, ai giapponesi un sacco; i loro font andavano caricati a mano da un floppy durante il boot, con relativa lentezza e macchinosità (non parliamo di che cosa succedeva se il sistema iniziava a chiedere lo scambio continuo dei floppy).
C’è tutto il tempo di visitarla, ma suggerisco di farlo presto, perché Savona è bella con il tempo brutto, ma ancora di più con il bello.
Il nuovo capolavoro di All About Apple Museum è la mostra
Apple e Martin Mystère: un amore infinito, che apre il 29 giugno e prosegue fino al 28 dicembre, secondo gli orari del Museo.
Proprio Martin Mystère, perché l’indagatore del mistero ha spesso e volentieri usato Mac: un regalo dello sceneggiatore Alfredo Castelli, gigante del fumetto, appassionato di tecnologia, utente indefesso del suo Mac, primo a portare un word processor nella redazione dell’editore Bonelli.
Su istigazione di
Filippo, segnalo il post con cui 512 Pixel segnala che
nella seconda beta di macOS Tahoe l’icona del Finder è tornata come dovrebbe essere.
Nella prima beta si era notato un
pasticcio con i colori della faccia nell’icona cui fortunatamente si è posto rimedio.
Stephen Hackett (il motore umano dietro 512 Pixels) è andato anche oltre, per chiedere un ulteriore aggiustamento. Sono assolutamente favorevole, ma mi va bene anche così come stiamo ora. L’importante era non snaturare l’immagine del Finder, che dopo tanti anni è persino più di un marchio. Farla evolvere è OK.
Ogni cinque per mille devoluto ai Copernicani o a LibreItalia vale effettivamente un aiuto a mille italiani in termini di promozione del software libero, della digitalizzazione positiva dell’Italia, della libertà dai percorsi imposti dalle multinazionali e tanto altro.
I link sono nella colonna di destra di questa pagina, in alto, e sono sempre lì. Sono orgogliosamente socio di entrambe le associazioni. Si noti che detesto l’associazionismo fine a sé stesso, contento di parlarsi addosso ed eleggere delle cariche.
Il primo problema è che la migliore spiegazione chiara e rapida dello
studio del MIT sui danni cerebrali provocati dall’eccesso di uso di chatbot nei soggetti deboli la fornisce
Alex Vacca.
Letto così, ispira l’idea dell’erede di magnati intento a dissipare allegramente le sue fortune oppure quella del content creator molto creator a discapito del content. Invece è uno che per vivere lavora, anche a un certo livello, e sa di che cosa sta parlando.