Che bello ritrovarsi con Filippo e Roberto a registrare un altro podcast! Avevamo una scaletta articolata e minuziosa, che abbiamo fatto saltare dal minuto uno. Un’ora e mezza passata a ricordarci le cose che avevamo capito, scoprirne di nuove in diretta, approfondirne altre sempre in diretta, tutto il pretesto di sviscerare Freeform.
Eccome se lo abbiamo sviscerato, al punto che ho potuto sollevarmi un paio di pesi dal petto riguardo le sue funzioni pensando di essere aggiornato (misteriosamente corroborato in questo dalle Impostazioni di macOS) mentre in effetti non lo ero.
Il presupposto della partita era un quarterback eccezionale contro una difesa eccezionale. In realtà la difesa eccezionale, ricevuta la palla con il calcio di inizio, l’ha depositata in meta nel giro di cinque minuti di gioco, con un drive praticamente perfetto, quasi intimidatorio.
Quattro minuti di gioco dopo, il quarterback eccezionale aveva già restituito il favore. Questo dice molto della partita, considerato che molti Super Bowl iniziano contratti, con le squadre che si studiano, lottano a metà campo, perdono e guadagnano possessi, esprimono nervosismo eccetera.
Lo hardware è un formidabile equalizzatore. Un Mac può costare molto, o molto meno, avere tanto spazio o poco, uno schermo grande o uno schermo piccolo. Alla fine però è un Mac, con i pregi e i difetti del Mac, per il ricco e per il povero.
Il software è il più positivo generatore di disuguaglianze che esista. Dr. Drang e io abbiamo comprato BBEdit allo stesso prezzo e abbiamo identiche funzioni a disposizione.
Le opzioni italiane per vedere il Super Bowl di quest’anno sono tranquille: Dazn per i paganti e Rai 2 per i gratuiti.
Il problema è che Rai 2 trasmetterà i propri spot pubblicitari invece che mostrare quelli americani, parte dello spettacolo quasi quanto la partita. Problema doppio, dato che quest’anno a sponsorizzare il concerto dell’intervallo di Rihanna è proprio Apple.
Lo half-time show e gli spot sono una occasione di portata quasi culturale per scrutare l’America, confermare o smentire trend, ingozzarsi di nachos e guacamole (sì, lo faccio tutti gli anni, oggi minispesa per guardare il Super Bowl come se fossi seduto allo State Farm Stadium di Phoenix).
Amo Tubular Bells. Dopo anni di ascolto, la versione che mi piace di più, delle dodicimila che sono state prodotte, è Tubular Bells II.
Adoro la musica dei Kraftwerk e ho tutta la loro (non abbondante) produzione. Dopo anni di ascolti, il piacere maggiore lo ricavo dai pezzi di The Mix oppure The Catalogue 3-D.
Insomma, non è mica detto che la prima uscita sia quella giusta (succede, eh; Blade Runner, per esempio).
La grande novità del nostro tempo: la diffusione di massa dei sistemi di generazione di contenuto basati su Large Language Model (LLM). Questi modelli, immense masse di dati, vengono dati in pasto ad agenti software che vengono addestrati a riconoscere schemi presenti nei dati stessi. Su richiesta, il sistema elabora contenuti generati a partire dagli schemi riconosciuti grazie all’addestramento.
Rispetto a quello che si faceva con i sistemi esperti trent’anni fa è cambiato tantissimo in termini di quantità dei dati e velocità di elaborazione, ma una cosa resta fondamentale, alla base di tutto: l’addestramento.
La cosa più normale del mondo.
In treno, una tizia fa gesti strani, senza parlare, in modo per me incomprensibile (più responsabilità mia che sua, conoscendomi). Alla fine armeggia su iPhone e mi mostra ansiosamente lo schermo. La prossima fermata è Milano?
Siccome ha usato Google Traduttore, vedo che lo scritto originale è in portoghese.
Allora lancio DeepL, che però è sovraccarico e non accetta input, anzi, lancio anch’io Google Traduttore e scrivo in italiano Milano è l’ultima fermata, non ti preoccupare, quando scendono tutti siamo arrivati.
Scrivo, edito, cerco cose su Internet. DiffusionBee e DrawThings lavorano in parallelo; cerco di farmi un’idea di come eventualmente uno possa, o meno, essere meglio dell’altro.
In omaggio al calendario, YouTube trasmette una vecchia compilation di live di Karn Evil 9 a firma Emerson Lake & Palmer.
Mac mini è coperto da una pila di carte che devo sistemare. Non si dovrebbe fare; il mini Intel precedente avrebbe già raggiunto il punto di fusione.
Va di moda discettare di intelligenze artificiali, test di Turing, coscienze sintetiche.
L’intelligenza umana, intanto, è facile da rilevare. Una persona intelligente non si libererebbe mai del suo iPad di prima o seconda generazione, anche se sono passati dieci anni.
Un iPad torna sempre utile, qualche volta più di un Mac.
Guardo serie vecchie su un iPad di 12 anni la cui batteria va ancora che è una bellezza e iOS è appena stato aggiornato.
Non solo ho avuto il coraggio di accendere Stage Manager, ma ci ho anche lavorato.
Il concetto fila. È curioso come, applicato su Mac, in sostanza tenda a lasciare sullo schermo una sola app invece di molte e, su iPad, tenda a lasciare molte app sullo schermo invece di una.
Su Mac la realizzazione è riuscita a metà. Trovo gli automatismi troppo rigidi e drastici; lanci un documento in più e qualcosa compare sullo schermo, quindi qualcos’altro si riduce e va nella barra a sinistra.