Paoloo ha cercato informazioni sul sottoscritto usando la novella combinazione di Bing e ChatGPT-4 e a mio parere c’è da preoccuparsi. Non perché sia io l’oggetto della ricerca o per come lui impieghi il tempo libero.
Parto da lontano. Un motore di ricerca non trova quello che vogliono ottenere, ma ciò che gli diciamo di cercare. Distinzione sottile, ma cruciale. In compenso, il risultato corrisponde al cento percento: qualsiasi pagina segnalata conterrà bene o male la ricerca che abbiamo inserito.
Perché sprecare tempo con i film dell’orrore quando esistono i plugin di WordPress? Oggi, nuova giornata nuove avventure, ho fatto la conoscenza con
Elementor, un autodichiarato editor a blocchi progettato da disagiati che di blocchi devono averne di importanti. Disagiati di cui è pieno il mondo, che meritano il massimo rispetto, ma con questa predisposizione verso la progettazione delle interfacce richiamano alla mente l’ultimo passaggio di secolo.
Lavoravo attorno al Duemila per una startup e discutevo animatamente con il direttore dello sviluppo software; il nostro compito era mettere a punto un editor di testo innovativo, open source, che andasse un gradino oltre la produzione corrente.
Andy Warhol aveva predetto per tutti quindici minuti di celebrità ma, come ogni buon profeta, ha sorvolato sui dettagli, come il fatto che avrebbero potuto essere quindici minuti ripetuti e che piano piano avremmo avuto bisogno di uno studio di registrazione fatto in casa per fruire del nostro nuovo diritto mediatico.
C’era forse arrivato il sottoscritto, che peraltro non sarebbe degno di fare la polvere ai bagni della Factory warholiana, quando diceva che nel futuro di Internet ciascuno avrebbe avuto il proprio canale televisivo, che nessuno si sarebbe dato la pena di guardare.
Ieri si parlava di una
sequenza di numeri presentata da Douglas Hofstadter in Concetti fluidi e analogie creative: 0, 1, 2, 720!…
(720! è il fattoriale di 720, ovvero 1 x 2 x 3 x 4 x 5 x 6 x 7 x 8… x 720).
La sfida era, in parte, risolvere la sequenza e capire la regola che la governa e, soprattutto, riflettere su come agiamo e pensiamo per riconoscere lo schema nascosto da indovinare, alla luce del fatto che una supposta intelligenza artificiale è rimasta lontanissima da una soluzione efficace.
Sì, continuo a riscoprire
Concetti fluidi e analogie creative. Nel 1977 Douglas Hofstadter era assistant professor presso l’Indiana University e aveva appena cominciato ufficialmente la propria attività di ricerca sull’intelligenza artificiale.
Uno dei primissimi progetti consistette nel chiedere agli studenti del corso di computer science di scrivere un programma il più possibile capace di riconoscere pattern lineari. Per esempio, guardare una sequenza di numeri e capire che regola governa la loro successione. Se scrivo 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13… un programma capace di riconoscere pattern, schemi che si ripetono, deve saper scoprire che ogni termine equivale alla somma dei due che lo precedono.
Subito dopo avere apprezzato la capacità di Internet di far trovare
articoli di divulgazione che vale la pena leggere, ecco che Matt Birchler mi regala una piccola gemma come
La coincidenza della nuova generazione.
Ora bisogna sapere che la catastrofe più sottovalutata nel dominio dell’analfabetismo numerico è la mancata comprensione del concetto dì probabilità. E Birchler smonta in pochi paragrafi la superstizione diffusa che vuole l’Algoritmo padrone nostro malgrado del nostro conversare, in grado di proporci il detersivo per piatti un attimo dopo che ci siamo lamentati della sua mancanza in casa, o cose del genere.
La capacità di divulgazione che Internet consente è uno dei motivi per i quali la rete dovrebbe essere dichiarata patrimonio assoluto dell’umanità e qualsiasi regime intento a erigere firewall punitivi o a tagliare cavi sottomarini o a isolarsi dal traffico globale venire sanzionato con la massima durezza.
Perché su Internet è facile perdersi e finire in aree micidalmente vuote di valore. Oppure imbattersi in articoli come quello di Julia Evans sul
perché un byte è fatto da otto bit.
Dice l’anziano-dentro, non sono più i tempi di una volta, quando con i computer si poteva smanettare.
Ecco che su Hackaday trovi uno smanettatore impegnato nel progetto che ha chiamato
PotatoP. In inglese, potato può essere un dispregiativo per un apparecchio poco prestante o sottoequipaggiato.
Si tratta di un portatile completamente autocostruito, in via di completamento, con schermo in bianco e nero da cinquantatré caratteri per riga, per il quale l’autore ha anche scritto un editor di testo elementare, che fa pochissime cose ma tutto l’essenziale e, sorprendentemente, quanto gli basta per programmare in modo soddisfacente.
Credo di avere raggiunto il livello di saturazione verso le notizie di nuovi editor di testo Markdown che porta ad aprire il portello del forno in cucina, infilare la testa e aprire il gas.
A salvarmi sono l’avere un forno elettrico e che grazie al cielo Internet riesce ancora a regalare eccezioni, come in questo caso
scrutch. Un animale curioso e che potrebbe tornare utile pur funzionando via browser, anzi, proprio per quello.
Su
Freeform, intendo (e vario altro, come oramai di abitudine). Quello che avevo da dire è entrato più o meno trionfalmente nella
cinquantaquattresima puntata del podcast di A2, fresca di pubblicazione, pronta da ascoltare.
Nel fiume di considerazioni, provocazioni, approfondimenti, discussioni, rivelazioni, cazzate emerite, riflessioni, commenti, chiacchiere, correzioni fraterne, anteprime, trucchi e segreti, retroscena e prossimamente, buono o cattivo, quello che non riesco mai a trasmettere pienamente sono la stima e l’amicizia per i due Unici di A2, Filippo e Roberto.