La lotta – ma verrebbe più da chiamarla missione, nel senso della quest fantasy – per affermare la buona tipografia e quindi la buona civiltà nel digitale va ben oltre situazioni molto chiacchierate, in modo superiore alla loro importanza, come
le diatribe su Times New Roman o Calibri dentro le amministrazioni statunitensi.
Un passo molto più fondamentale è invece depotenziare ed emarginare progressivamente come si merita quella piaga tipografica che è Arial. Ci si può misurare in un test per vedere
se riusciamo a distinguere Arial da Helvetica. La tristezza, scrivevo, è che se fossero varietà di formaggio, il non riuscire a cogliere la differenza sarebbe un’onta gastronomica. In campo tipografico digitale, invece, vabbè-tanto-sono-uguali.
Dice Apple, senza fornire numeri, che
Pluribus è la serie più vista su Apple TV, persino davanti alla
seconda stagione di Severance.
Per numero di abbonati, Apple TV non può fare grandi numeri in assoluto. Però nel 2025 ha pubblicato quattro stagioni di show come
Slow Horses, appunto Severance, The Studio, ora Pluribus.
Tutte cose di cui poi si parla. Marketing, eh? Ma ce l’hanno tutti, il marketing. Eppure, a parità di marketing, si parla di Slow Horses (che continuo a raccomandare).
Nella mia bolla mediatica impazza la promozione di una
edizione di Monopoly dedicata al sessantesimo anniversario dei Pink Floyd, con tanto di segnalini a forma di maiale o di frammento di muro e un tabellone con grafica completamente ispirata alle produzioni del gruppo.
Il
sito ufficiale dei Pink Floyd strilla come novità in cinquantesimo anniversario di Wish You Were Here.
Il
sito ufficiale di Monopoly non fa menzione alcuna di una edizione Pink Floyd (mentre si trova, per dire, quella sul film di Dungeons & Dragons).
L’amministrazione Trump è un disastro assoluto che porta gli Stati Uniti a una involuzione come mai si era vista prima, nociva e preoccupante.
Fatta la doverosa premessa, bisogna distanziarsi necessariamente non solo nel giudizio, ma anche nei modi. Se la cifra dei trumpisti prevede l’approssimazione, la disinformazione, la bugia ripetuta fino a trasformarla in verità e la post-verità generata direttamente senza neanche la fatica di partire da un dato di realtà, noi dobbiamo essere precisi, informati, basati sui fatti e capaci di valutare con equidistanza e competenza le situazioni.
Apex, il processore Markdown di Brett Terpstra,
continua a migliorare e arricchirsi e potrebbe arrivare a significare qualcosa anche oltre le intenzioni dello sviluppatore.
Markdown ha un problema di standard in competizione e una architettura capace di favorire una unificazione è una buona cosa. Domani potremmo avere app che si ispirano a una codifica universale di Markdown come questa, contraddistinte da un output uniforme e prevedibile.
Per quanto tutto sia ancora tecnico e fuori dal radar dell’utilizzatore finale, a me pare una mossa vincente. Un bel proposito per il 2026.
Trovo molto molto interessante il lavoro di Jesús Olano su quella che chiama
tipografia fluida, capace di adattarsi in modo continuativo alle variazioni dello schermo e della pagina web.
È qualcosa che istintivamente sentiamo il browser avrebbe dovuto e potuto fare da sempre, da subito. Quasi una proprietà intrinseca dello scrivere in digitale, qualcosa che va oltre la carta in modo tanto oltraggioso quanto ovvio e che consente la lettura ottimale in qualsiasi circostanza.
Un avvocato, una maestra e un nutrizionista, non è l’inizio di una barzelletta, pubblicano ognuno un’infografica e capita che io le veda a distanza di poche ore.
Capisco che è arrivato il momento Ghibli per l’infografica, dopo l’orgia di autoritratti alla Miyazaki. Parlano rispettivamente di legge, didattica e alimentazione, tuttavia hanno esattamente lo stesso stile, lo stesso posizionamento dei testi, identiche palette di colore. A guardarle sfocate potrebbero sembrare la stessa infografica.
Jeff Huang organizza le sue giornate con un file di testo. Al momento di scriverlo in un post, il file conteneva
quattordici anni di dati in oltre cinquantunomila righe.
Ogni sera Huang ruota il file mettendo in cima le cose da fare nella giornata successiva. Di giorno aggiunge osservazioni, appunti, informazioni da ricordare.
L’uso di linguaggio standardizzato (per esempio, la stessa intestazione per tutti gli incontri) rende il cercare le cose semplice come una ricerca. Dove gli sembra opportuno, aggiunge hashtag da ritrovare successivamente.
Ebbene sì, ci sono riuscito:
sono stato a vedere la mostra su Martin Mystère e Mac presso All About Apple Museum a Savona.
Dovrei dire cose importanti sul calore, l’atmosfera, l’accoglienza, la gentilezza che ho ricevuto in piena gratuità e invece non vado oltre: sono un privilegiato che ha amici grandi e speciali e ha potuto goderne.
Invece, qualche spoiler sulla mostra. Perché finisce poco dopo Natale e tanti che avrebbero dovuto e potuto hanno perso l’occasione. Un’occasione davvero ghiotta, perché i retroscena della mostra sono forti. Al tempo stesso, conoscerli renderà solo più gustosa la visita agli amanti del last minute.
A settembre, vicini all’inizio della scuola, la secondogenita settenne era molto amareggiata dal fatto che le vacanze stessero per finire. Ma lei è una che affronta i problemi a viso aperto.
Così ha insistito per sapere – a settembre – quanti giorni mancassero a Natale. Ha preso un foglio bianco e ha iniziato a disegnare una griglia tanto per tanti, che poi ha popolato con i giorni dei mesi.
Ha colorato in modo diverso Natale, il suo compleanno, quello di un’amica e pure quello del papà. Infine, ha apposto una X sul primo quadrato del suo calendario antistress da scuola.