Cose che ho inviato alla mailing list dei Copernicani (più qualcosina extra) in merito alla supposta intelligenza artificiale. Iniziano ad aprirsi le botole in cui finisce l’eccesso di entusiasmo.
Una calcolatrice può operare mille somme esatte e sbagliarne una per un errore di arrotondamento. I circuiti sono sempre quelli ma l’esito è diverso da quello prevedibile, dovuto a limiti insuperabili della logica interna; un chatbot passa mille informazioni esatte e una sbagliata lavorando sempre esattamente nello stesso modo. Non c’è un errore nell’esecuzione dell’algoritmo, non c’è un limite intrinseco interno. Un chatbot produce sempre il proprio esito prevedibile.
Posseduto dal fascino di vedere Doom
funzionare ovunque, sono rimasto coinvolto in un conundrum (in inglese, problema complicato o confuso, di difficile soluzione).
Voglio dire, dopo il
satellite, non vogliamo fare funzionare Doom anche su Mac?
Il gioco vive oggi su
Steam, in vendita a venti euro, e su
Gog in supersconto a tre euro e sessantanove. Volendo si può giocare da Google Play Store tramite l’emulatore
BlueStacks e cinque euro e mezzo.
Ma Doom non è open source?
Non è colpa mia se Apple TV (da poco, qualsiasi cosa riguardi Apple e i contenuti video
si chiama Apple TV, siano i programmi, l’apparecchio o la app) ha smesso di trasmettere il baseball nella notte tra venerdì e sabato.
Così nello stesso momento ho guardato senza rimorsi il basket NBA su Prime Video.
Prima di dare un giudizio sulla copertura preferisco vedere almeno ancora un paio di partite. L’unica cosa da dire subito, anticipando che è un mio problema di snobismo, è il disappunto per il commento in italiano. Lo vorrei originale, come per il baseball (durante il quale, arrivo a dire, mi mancavano gli inserti pubblicitari nativi). Altrimenti, che si possa commutare la lingua, opzione che mi è parsa non disponibile.
Non si può non rimanere affascinati, o almeno infastiditi, dal trend di fare eseguire
Doom sopra
qualunque apparecchio presente sulla Terra e dotato di un processore.
Adesso la definizione soprastante va aggiornata, perché siamo arrivati a eseguire Doom
in orbita terrestre, a bordo di un satellite europeo.
Il frame rate è quello che è, perché lo hardware a bordo del satellite deve soprattutto proteggersi dalle radiazioni più che erogare potenza di calcolo. Bello constatare che l’Agenzia spaziale europea ci abbia messo una mano a livello di collaborazione, permessi e supporto tecnico.
Parto da lontano e da una nicchia che interessa a una porzione assai ristretta di persone. Qui si gioca di ruolo, soprattutto a
Dungeons and Dragons e, da ben prima della pandemia, oltre che a maggior ragione dopo essa, si struttura su tavoli di gioco online come
Roll20.
Roll20 e i sistemi equivalenti digitalizzano e velocizzano varie operazioni tipiche del gioco di ruolo come la compilazione della scheda personaggio, il conteggio di danni/punti vita/attacchi/difese eccetera, il lancio dei dadi, la comunicazione tra giocatori e quella in-game dei personaggi rappresentati, bla bla bla.
Domande paradossali ma neanche tanto: mi dicono che esiste
Twake Drive, un clone open source di Google Drive.
Appena finito di scrivere questo post accendo un account. Sono curioso di vedere se e come possa sostenersi visto che, come pare, è tutto gratuito.
Ma più di questo, perché non dovrei comprarmi un disco rigido come si deve, installare il
codice da GitHub e mettere il sistema a disposizione di tutta la famiglia? Perché non dovrebbero farlo tutte le famiglie? Non dico i condominî, ma le famiglie? Le scuole? Perché non le piccole e medie aziende? E perché nessuno lo impacchetta e lo vande davvero alle famiglie illuminate? Dovrei farlo io con una cordata di amici? O qualcuno più capace e con una visione di impresa?
Hanno detto che capita solo una volta in una generazione e, visto che effettivamente è la prima volta, che mi capita, voglio rimarcare il fatto che
La Wayback Machine ha archiviato un trilione di pagine web.
Un trilione sono mille miliardi. Mille miliardi. M-i-l-l-e-m-i-l-i-a-r-d-i.
Come fosse una immensa fotografia multidimensionale dell’umanità. Di tanti sforzi con un qualche valore culturale, questo racconta chi siamo e da dove veniamo per un criterio sconosciuto ai libri di storia: la quotidianità delle moltitudini.
Si potrebbe prendere la
recensione di iPad Pro M5 da parte di Federico Viticci su MacStories come una guida a spiegare perché chi abbia già un iPad Pro M4 non abbia una vera ragione di comprarlo. Non ci sono critiche ma, piuttosto, data point: i vantaggi effettivi di passare da M4 a M5 non valgono pena del passaggio.
Per tutti gli altri è per forza un discorso diverso, in quanto il divario anche solo di velocità rispetto a un M5 inizia a diventare consistente.
C’è una formulazione ancora più nobilitante dell’eredità che ci ha lasciato Steve Jobs con Design is how it works, design è come funziona: un design sufficientemente potente è in grado di modificare il nostro comportamento senza che ce ne rendiamo conto. A fin di bene, ovviamente.
A mostrarlo è Jason Fried,
alle prese con un orologio di lusso, A. Lange & Söhne Lange 1.
Se il nome non ispira grandi pensieri in fatto di branding, la gestione della carica è invece magistrale.
L’idea è allettante: un
salvaschermo che trasmette uno stream video.
Va anche dato qualche avviso ai naviganti.
La soluzione è, a dire poco, grezza. Bisogna maneggiare qualcosina di Xcode e avere la base minima di UNIX, tipo assicurarsi che
yt-dlp si trovi in $PATH e, se non si ha idea di che cosa significhi, c’è rischio di impantanarsi a mezza strada.
(Non so cercando di passare per saccente ma recuperando la mia vasta esperienza di iniziative prese con grande entusiasmo e ottimismo, abbandonate con disagio davanti a un problema tecnico che non avevo gli strumenti per risolvere).